L’Italia vince e perde la dignità

Grande giubilio. Tutti partecipano in maniera eccessiva… catartica. La nazionale di calcio ha vinto gli
europei. Siete avvisati questo non è un articolo ma una riflessione a cuore aperto. Dove una delle domande cardine è perché la gioia coinvolge più del dolore. Perché il popolo condivide valori fatui come quelli della vincita di una squadra di calcio e non si raduna, ad esempio, per difendere la perdita del lavoro che ultimamente sta segnando le vite di tanti italiani, e non solo per una sera?

Cosa spinge le masse a catalizzarsi attorno al vuoto di un pallone che rotola sul campo di calcio? Rappresenta forse il nostro bisogno, da singoli, di riscatto, di vittoria sulle miserie dell’esistenza che non siamo in grado di fronteggiare nel campo della realtà. O forse è il timore di essere incapaci di lottare per i nostri diritti contro imprese, lobby e istituzioni che gestiscono le nostre vite…

E’ questo forse che ci riduce a festeggiare in maniera sguaiata, animalesca, andando oltre i limiti del rispetto di se stessi, del pericolo, della dignità, della decenza?

Festeggiamenti e incidenti.

Il calcio è l’oppio dei popoli – diceva Pasolini – ma ha presa solo su menti addormentate, su coscienze addomesticate, rabbonite dai meta valori dove la nostra vita viene messa in ombra dall’illusione che identificandoci nella vittoria di una coppa, di una partita, la nostra vita sia riscattata, è perfetta. llusione, evanescente soddisfazione che benda occhi e bocche sulla realtà Covid, sul debito pubblico, sull’inflazione, sullo strapotere UE, sul problema migranti, sugli astrusi cavilli burocratici, sull’inadempienza e lentezza della giustizia, sui femminicidi sempre in aumento… su un’Italia che anno dopo anno perde terreno, sicurezze, identità culturale, posti di lavoro e Pil.

Ma cosa conta siamo felici, l’Italia vince a calcio! Questo basta a sentirci soddisfatti, euforici per una sera. E poi? Siete proprio certi che i feriti delle prodezze dei festeggiamenti ed i gesti irresponsabili ed eccessivi, a cui seguirà la miseria della quotidianità, ce li meritiamo? Bhe sì… E il famoso giorno da leone e il resto da pecore. Gl’italiani dovrebbero scendere in piazza per i loro diritti, per le loro libertà, per la verità su stragi e morti misteriose e tanto altro ancora che manca per esser un popolo sereno; manifestare, far sentire al loro voce corale per tutto ciò che d’importante i nostri nonni ci han lasciato, a costo della loro vita e che noi ci stiamo lasciando togliere a suon di paure, ricatti e minacce.

Sono davvero questo gl’italiani, siamo davvero noi che ci facciamo palpare le tette da sconosciuti (avete visto il video riguardante i festeggiamenti), finiamo in ospedale per traumi cranici o ferite varie (sempre per incidenti causa vittoria testimoniati dai video) e poi facciamo la fila offrendoci come cavie per farci iniettare un farmaco sperimentale che, si spera, ci dia maggior possibilità di vita riguardo al Covid. Ma quale vita? Come la spendiamo la nostra esistenza? Quali valori incarniamo, noi popolo italiano?

Quelli dell’indottrinamento televisivo, quelli delle mode del momento o quelli atavici, umani? Ricordate il rispetto di se stessi e dell’altro, l’onore, la lealtà, la fiducia, la coerenza, l’amore disinteressato, la solidarietà? Le immagini dei festeggiamenti (le restrizioni antiassembramento dove son finite in QUESTO caso?) ci raccontano di gente allo sbando, senza alcun freno inibitore… senza consapevolezza del male che posson fare a se stessi o a gli altri. E’ davvero questo il nostro vero volto …quello che abbiamo dentro e che – in diversi modi – esterniamo quotidianamente?

Parrebbe di sì, a dar retta alle esperienze di vita sociali, familiari e professionali di ognuno di noi: rapporti tossici, privi di empatia ed umanità, che nutrono quanto un pezzo di plastica. Lo spessore, la profondità e la forza delle relazioni umane, sane, dov’e? Mi sbaglio? Ditemi di sì! Ma questa modernità liquida, così sapientemente descritta dal sociologo polacco Zygmunt Bauman, è caratterizzata da esperienze individuali e relazioni che non han confini, non han riferimenti stabili e chiari, dove il concetto di comunità è andato in crisi, sostituito da un individualismo sfrenato.

Si è persa la certezza del diritto e gli unici mezzi rimasti per essere, per sentirsi vivi, sono l’apparire come fosse un valore e il consumismo bulimico – anche di relazioni e rapporti – che non appagano mai in quanto superficiali ed effimeri. La società moderna ha perso le sue radici, la sua stabilità ed i suoi confini e “il cambiamento è l’unica cosa permanente e l’incertezza è l’unica certezza”.

Ecco forse perché abbiamo perso l’interesse ad occuparci delle faccende che han bisogno di un grande investimento (emotivo, di tempo ed energie) preferendo sedare le nostre frustrazioni, l’inadeguatezza e il senso d’incertezza con l’oppio calcio, con la speranza che questo brutto sogno passi e le radici di una società salda e umanamente accogliente torni a darci sicurezza e fiducia e sicurezza nel nostro potere decisionale – rispetto alle scelte personali – ,nei rapporti umani e pure con le istituzioni.

Intanto, ci accontentiamo di farci somministrare la nostra dose di oppiacei (sotto forma di mode, paure, sport, religione, convenzioni e condizionamenti sociali), ottimi sonniferi per la mente critica, per le coscienze umane. Il risultato? Siamo un popolo povero, sempre più povero nel portafoglio, nei diritti e nei valori, nella dignità. E se non ci riprendiamo la capacità di essere pensatori critici e responsabili in prima persona delle nostre vite, senza delegare a nessuno – istituzioni in primis – la corrente ci porterà sempre più alla deriva e da festeggiare ci sarà sempre meno. Anzi nulla.

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