Provare a salvarti la vita… e ritrovarti ad averne firmato la condanna senza saperlo. È questa l’amara, ironica beffa che emerge dallo studio pubblicato su JAMA Internal Medicine: secondo i ricercatori dell’Università della California (UCSF), il 5% dei tumori diagnosticati ogni anno potrebbe essere provocato proprio dalle radiazioni delle Tac, le stesse celebrate come salvavita. In realtà, potrebbero essere gli angeli neri della medicina moderna.
Sì, avete letto bene. Cinque tumori ogni cento – il prezzo silenzioso di un esame apparentemente innocuo, spacciato come indispensabile per “prevenire”. Ma in questa giostra ad alta esposizione, ciò che dovrebbe curarti può diventare il detonatore della tua futura malattia. Una roulette russa radiologica in piena regola, dove il proiettile arriva anni dopo, e spesso colpisce i più fragili: neonati e bambini, con un rischio dieci volte superiore rispetto agli adulti. Ma tranquilli: ci penserà il sistema a minimizzare. “Effetti collaterali inevitabili”, dicono.
Eppure, i numeri non mentono: 93 milioni di Tac solo nel 2023 negli USA, con una proiezione di 103mila tumori legati direttamente a quelle esposizioni. Un dato da brividi, tre o quattro volte superiore alle stime precedenti. Ma i portavoce della rassicurazione continuano con la litania: “la Tac è utile, basta non abusarne” – come se si parlasse di zucchero o caffè, non di radiazioni ionizzanti.
La dottoressa Rebecca Smith-Bindman, che ha guidato lo studio, arriva a equiparare il rischio della Tac a quello di alcol e obesità. Ma nel frattempo, la macchina continua a girare e irradiare, in nome della prevenzione, dell’efficienza e delle tasche piene delle strutture sanitarie. Che importa se i tumori più comuni post-Tac sono quelli al polmone, colon, seno, tiroide e vescica? L’importante è che il marketing medico continui a vendere “diagnosi” come panacea, senza accennare al rovescio della medaglia.
E poi c’è il teatro dell’orrore pediatrico: Tac alla testa per neonati, spesso per banali infezioni o sospetti infondati. Il rischio? Tumori alla tiroide, ai polmoni, al seno. Il motivo? Un sistema che preferisce irradiare un bambino pur di coprirsi le spalle. Meglio un eccesso diagnostico che un titolo scomodo sui giornali. E così, si gonfia anche il PIL sanitario.
I ricercatori lo ammettono: molte Tac sono superflue. Le dosi di radiazione variano in modo selvaggio da un paziente all’altro. Ma è più comodo dire “stia sereno” e spingere tutti verso il tubo-scanner, pur di non rischiare responsabilità o, peggio, una perdita di fatturato. La prevenzione, così com’è gestita oggi, rischia di diventare un boomerang mortale.
Viviamo in un sistema dove tutto è marketing, anche la medicina. Dove persino le radiazioni sono presentate come coccole salvifiche. Finché il conto non arriva. E quando arriva, non lo paga il radiologo, né il primario, né il direttore sanitario. Lo paghi tu, paziente fiducioso, che volevi solo “fare un controllo”, per stare tranquillo.
E invece la tranquillità te la portano via, a piccole dosi, sotto forma di raggio X.
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