Cosa ne è dell’archivio di WikiLeaks?

Pezzo dopo pezzo, senza alcun rumore, si va sgretolando l’archivio di documenti più discusso degli ultimi decenni: WikiLeaks. Un processo di demolizione controllata che, in una mente fortemente immaginativa come quella di chi scrive, evoca scene quali la dissoluzione del Regno di Fantasia corroso, lentamente ma inesorabilmente, dal potere annichilitore del Nulla o, parallelismo ancora più calzante, i roghi di libri narrati in Fahrenheit 451 (romanzo del ’53 ambientato, secondo una strana sincronicità, proprio nell’anno 2022).

Ne dà notizia, per primo in lingua italiana, lo scrittore e saggista David Colantoni che, nel suo articolo “WikiLeaks di Assange non esiste più. Archivio documenti sparito. La stampa tace” (https://you-ng.it/2022/11/30/wikileaks-di-julian-assange-non-esiste-piu/), afferma di essersi imbattuto nello sconcertante scenario quasi per caso: triste epilogo di una abituale pratica di consultazione che gli ha per molto tempo fornito preziose informazioni, da cui la stesura di testi di analisi e approfondimento storico-politico, quali “Ucraina 2022 La minaccia Strategica Perfetta” e “Lineamenti Generali del Trattato sulla Classe Armata”. Fino allo scorso 30 novembre, data in cui viene pubblicato l’articolo in questione, quando arriva l’amara constatazione: l’intero sito era stato, per usare un termine di orwelliana memoria… vaporizzato!

Sembrerebbe pleonastico sottolineare l’apporto fornito da WikiLeaks all’interno di quella nicchia di giornalismo che ancora si pone domande su cosa stia, davvero, accadendo nel mondo; non fosse per il silenzio generale che ha avvolto la questione come una cortina di nebbia. E non solo da parte di quella stampa che ha tutto l’interesse a nascondere sotto il tappeto la sporcizia dei suoi padroni, ma anche “tra le nostre file”, intendendo con questa espressione “coloro che ancora si battono per la corretta informazione” come alimento di consapevolezza per il cittadino.

Un silenzio che è contemporaneamente causa e conseguenza di sé stesso poiché – per quanto riguarda i secondi è doveroso specificare – il fatto che pochissime fonti diano conto dell’accaduto, “meno delle dita di una sola mano” sottolinea Colantoni, rende arduo ogni tentativo di ricostruzione un minimo accurata di come siano andate le cose da un punto di vista “tecnico”, costringendo chiunque se ne occupi a dover lasciare in sospeso la questione. Se è pur vero che nella pratica il risultato non cambia, è molto diverso parlare di un oscuramento da censura piuttosto che di un lento stillicidio dovuto a problemi di sostenibilità del sito.

E, va precisato, nel secondo caso andrà anche messo in conto da parte del mainstream un gesto “alla Ponzio Pilato”: nessun bavaglio, a quel punto, sarebbe stato imposto direttamente… come si dice in questi casi “oltre al danno la beffa”!

Vale dunque la pena di riflettere, brevemente, su quali siano le vere ragioni della difficile sostenibilità (e non solo a livello di fondi) dell’informazione non funzionale al potere: dove cercare i veri responsabili? Sarebbe riduttivo limitarsi ad un mea culpa, senza esplorare la possibilità di una forma di censura surrettizia che mette a dura prova i cosiddetti indipendenti attraverso false narrazioni, continue delegittimazioni, algoritmi penalizzanti che, a priori, suggeriscono disaffezione nei potenziali fruitori. Quando addirittura non riducono coloro che operano fuori dal mainstream ad una dimensione di irrilevanza che, facendo di nuovo ricorso ad un’immagine fantastica, ricorda molto un incantesimo di invisibilità.

“Eppure il vento sta cambiando” fanno osservare i più ottimisti. E, senza scadere in entusiasmi troppo facili, è possibile, per questa volta, chiudere un’analisi amara con una nota positiva. Tra i vari articoli presi in esame per fornirvi questo rendiconto emerge, quasi una luce in fondo al tunnel, la notizia dell’approdo in Italia del film “Ithaka”: documentario del regista Ben Lawrence sulla lotta per la liberazione di Assange, prodotto da Gabriel Shipton, fratello del giornalista.

Gli ostacoli riscontrati nella distribuzione nel nostro Paese sono stati denunciati sulle pagine de Il Fatto Quotidiano nientemeno che da Laura Morante, il che ha conferito a questo lavoro (riconosciuto e premiato in USA, ma accolto non in modo altrettanto favorevole da noi) una riabilitazione che pare abbia portato altre offerte prestigiose per quanto riguarda future proiezioni, oltre alla data di Roma del 13 dicembre presso il Nuovo Cinema Aquila.

Segno che quando tematiche scomode riescono a bucare la cortina di nebbia a cui si accennava poc’anzi, una risposta di interesse da parte del pubblico non tarda ad arrivare. E forse anche che è giunto il tempo di unire le forze, o quantomeno di tentare questa strada, per evitare di diventare vittime di noi stessi e dei nostri stessi meccanismi di chiusura che, seppur giustificati, ci condurrebbero ben lontano dagli originari intenti per cui abbiamo scelto l’ardua ma coraggiosa strada dell’informazione indipendente.

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