La morte negata, Riportiamo il focus sui temi centrali che hanno fondato il progetto.

Nell’approssimarsi del 18 marzo, giornata Nazionale in Memoria delle Vittime del Covid e trascorsi ormai diversi mesi dall’esordio delle proiezioni del docufilm “La morte negata”, desideriamo aprire alla condivisione con i nostri lettori alcune importanti riflessioni e riportare l’attenzione ai temi che ne sono all’origine.

“La Morte Negata” è un progetto del Comitato Nazionale Psicologi EDSU per la cui realizzazione si è impegnato fortemente. Questo tema è stato poi raccontato efficacemente sugli schermi dal regista Alessandro Amori e si possono contare già molte proiezioni su tutto il territorio nazionale. Numerose sono state le associazioni promotrici e gli interlocutori chiamati a intervenire: psicologi, medici, familiari delle vittime, avvocati e giuristi, i quali a vario titolo e con i loro personalissimi e liberi contributi, si sono susseguiti nell’attivazione del dibattito che sempre segue al docufilm, e che è sempre molto partecipato e denso di emozioni.

Molte sono le considerazioni su cui soffermarci, prima fra tutte: questa cosa continua a succedere!

I tragici eventi raccontati infatti non sono solo la triste memoria di un tempo passato ma una realtà ancora dolorosamente attuale: sempre più spesso si raccolgono storie analoghe a quelle documentate nel docufilm. Storie che reclamano l’urgenza a un diritto di parola, la necessità di fornire contesti e spazi di condivisione e infine di offrire aiuto per far fronte alla “tenacia mortifera” con cui vengono ancora attuati i protocolli sanitari.

La scrittrice e poetessa Lidia Sella di recente ha ribadito ancora una volta (1 ) quanto siano palesi tutti i collegamenti tra la politica europea di implementazione della famigerata agenda 2030 e le direttive sanitarie applicate nei singoli paesi europei, Italia in testa. Tutti i protocolli sono coerenti con l’ideologia di morte imperante che li fonda: dalla tachipirina e vigile attesa, ai ricoveri forzati per Covid 19 fino alle procedure, spesso non dichiarate se non a posteriori, di somministrazione di cocktail di farmaci, i quali accompagnano soprattutto gli anziani compromessi in un drammatico viaggio in solitudine e senza ritorno.

Questa ideologia si articola sul piano culturale facendo sì che la morte stessa venga oggi considerata e trattata in contesti medicalizzati, in cui l’esproprio della salute rappresenta la caratteristica più evidente.

“Sembra che nel nuovo ordine planetario che si va delineando due cose, apparentemente senza rapporto fra loro, siano destinate a essere integralmente rimosse: il volto e la morte”  (2) sostiene efficacemente Agamben e noi non possiamo che confermare, visto il modo in cui la morte e la ritualità sociale e culturale, che ne permettevano condivisione ed elaborazione comunitaria, sono state tragicamente impedite e negate. La “Morte negata” racconta con dolore esattamente questo: come le mascherine hanno negato l’accesso ai volti, così i protocolli sanitari hanno negato l’accesso al significato più profondo e spirituale che hanno i riti di accompagnamento e di elaborazione del lutto in questa epoca oscura.

Viene così interrotto il legame che da senso alla vita stessa e la connessione tra vivi e morti, elemento centrale da sempre nella nostra stessa civiltà umana.

In questo scenario dunque diventa importantissimo il lavoro d’informazione che si può e si deve fare e il sostegno all’autodeterminazione nel percorso di cura da parte di chi, per varie ragioni e a vario titolo, impatta con la realtà delle strutture sanitarie. Da pochissimo, ad esempio, il Tar del Lazio (udienza cautelare del 4 febbraio) ha dichiarato che l’ordinanza di Schillaci che comportava l’imposizione delle mascherine e dei tamponi a discrezione delle regioni o delle strutture sanitarie “Non sembra assistita dal requisito dell’urgenza e non è suffragata da un’istruttoria e una motivazione adeguate” (3) . Bisogna divenire consapevoli che non ci si può più affidare passivamente e che al contrario bisogna essere attori responsabili del proprio processo di cura: questa è la più importante acquisizione a cui tutti siamo chiamati. La DAT, ovvero le disposizioni anticipate di trattamento, sono uno strumento legale poco noto di tutela, che va esattamente in questa direzione.

Siamo tutti chiamati ad ascoltare la nostra coscienza e ad avere cura di noi stessi e dei nostri cari!

Proprio perché in questo momento storico le nostre coscienze sono sollecitate, è naturale che progetti come La Morte Negata risultino attraenti per tutti coloro che ne riconoscano contenuti e potenzialità e che dunque si moltiplichino i luoghi e le circostanze per la proiezione, che Playmastermovie ha reso disponibile per chiunque sia interessato. Noi ne auspichiamo una sempre maggiore diffusione, caratterizzata anzitutto da attenzione e delicatezza verso le vicende che testimonia, verso i Familiari e anche verso le tematiche che propone. Esse sono estremamente complesse ed estese ma, paradossalmente, proprio per questo talvolta nei dibattiti che seguono la proiezione si può essere portati ad perdere il focus e deviare in tante direzioni. Certo, vi sono aspetti medici su cui riflettere, dato che per la maggior parte gli eventi riportati riguardano la sanità e sono avvenuti in strutture sanitarie; vi sono poi aspetti legali che riguardano l’accertamento della legittimità delle procedure seguite e la valutazione dei possibili ricorsi; vi sono aspetti filosofici poiché si tratta della Vita e della Morte.

Ma non a caso il progetto è nato da un gruppo di Psicologi. A nostro avviso, infatti, gli aspetti più pregnanti sono quelli psicologici, non solo perché gli eventi di cui si parla riguardano vissuti, stati d’animo, relazioni interpersonali e il confronto con grandi eventi quali la Morte e il Morire, ma principalmente perché tutto questo tocca quella sfera intima e speciale che chiamiamo Psiche, Anima, di cui noi ci occupiamo anche professionalmente.

In fondo il tema centrale è proprio questo e si inserisce a pieno titolo nel periodo che stiamo vivendo, in cui da più parti vengono attuate manovre che investono ogni settore del vivere, che sia individuale o sociale, materiale o spirituale e che convergono nel tentativo subdolo di realizzare un disegno complessivo, teso a disconnetterci dalla vita e a sopprimere l’Essenza dell’Umano, per sostituirla con qualcosa di non ben identificato, ma certamente più addomesticabile perché privo di capacità creativa. Sarebbe riduttivo limitarsi ad inquadrare gli eventi di cui si parla nel docufilm tra i molti episodi di malasanità, ai quali la trasformazione delle strutture ospedaliere in aziende sanitarie ci ha abituati nostro malgrado. Anche se frequenti, essi restano infatti occasionali e, almeno in apparenza, incidentali, mentre nel caso delle numerose testimonianze raccolte in ogni regione italiana riscontriamo sempre gli stessi passaggi, prassi comuni, insomma un certo metodo, tale da indurci a pensare che queste morti e il modo in cui sono avvenute non siano fini a se stesse. Anche per questa ragione “La morte negata” è nata dal lavoro del gruppo di colleghi che, all’interno del Comitato, si occupano di manipolazione.

Questo progetto, completamente gratuito in ogni sua espressione e nato per restituire dignità e voce a chi non l’ha avuta, è stato e continua ad essere, per noi del Comitato Nazionale Psicologi, un’occasione speciale, a volte difficile e spesso commovente, di camminare insieme a persone che, a partire dal loro dolore e anche col nostro sostegno nei gruppi di autoaiuto, entrano in contatto con aspetti di sé, trasformano il senso di quel dolore e scoprono piano piano la loro forza. Accompagnarli in questo viaggio si rivela una fonte inesauribile di ricchezza interiore, di crescita, di riflessione e di confronto su questioni così profondamente radicate nelle nostre tradizioni e nella nostra cultura, da apparire scontate e sul cui significato e funzione ci si sofferma raramente, giusto quando vengono messe in discussione o ci vengono sottratte.

Il lutto è uno di queste: un tempo di intima mediazione fra la Vita e la Morte che può iniziare anche prima della morte, ad esempio nelle fasi terminali di una malattia incurabile, di cui si presume di sapere quale sarà l’esito e al cui evento ci si inizia a preparare interiormente, prima ancora che abbia luogo. È il processo grazie al quale chi resta non solo piange il defunto e cerca di dare un senso alla sua morte, ma riorganizza la propria vita anche in base all’assenza del proprio caro. Questo comporta il dover affrontare diversi passaggi che comprendono, tra gli altri, il superamento del senso di colpa derivante dal non sentirsi in diritto di continuare a vivere mentre il proprio caro è morto. I provvedimenti e l’obbedienza ai protocolli che hanno portato a queste morti hanno privato i familiari rimasti della possibilità di vivere il lutto, perché in molti casi quelle morti non hanno spiegazione naturale (come testimoniano le cartelle cliniche) e non sono stati nemmeno incidenti, dunque è difficile accettarne il senso, a maggior ragione perché sono avvenute in luoghi che consideriamo deputati alla cura.

Quest’ombra maligna può intrappolare entrambi, il defunto e chi gli sopravvive, in una specie di terra di mezzo, impedire l’accettazione della morte del proprio congiunto, prendere commiato e in conseguenza cambiare la propria vita. I superstiti restano aggrappati a chi se n’è andato, sperando di vederlo tornare o illudendosi di continuare a stare insieme, anziché “raccogliere il testimone” e, con i dovuti tempi, ristrutturare la propria vita e andare avanti. Il fatto poi che non si siano potuti vedere i resti del proprio caro defunto, né celebrare i riti che tradizionalmente in tutte le culture e da tempo immemore, sanciscono il passaggio all’altro mondo e la continuità fra la Vita e la Morte, è un evidente esproprio della dimensione sacra della Morte, in funzione di una sempre maggiore e forzata preminenza degli aspetti sanitari, biologici, meccanici, materialisti, della Vita tutta.

Nei dibattiti che seguono ogni proiezione c’è sempre qualcuno che dice: “È un pugno nello stomaco” – e che sia così lo sanno bene i Familiari che hanno vissuto l’esperienza e lo sappiamo anche noi che fin dall’inizio abbiamo raccolto le loro testimonianze. Benché risulti difficile per l’intelletto concepire come una simile disumanità abbia potuto manifestarsi, vorremmo evitare che la visione del docufilm si riducesse a un’occasione per sfogare il proprio dolore o la legittima rabbia, demonizzando tutti i sanitari perché, lo ricordiamo, ci sono medici, infermieri, personale sanitario in generale, che hanno svolto la loro opera in piena coscienza, aiutando molte persone. Né vorremmo che la sfiducia diventasse per la popolazione fonte di una nuova, pervasiva paura.

È evidente che ogni responsabilità debba essere accertata, ogni sopruso punito severamente, ogni offesa riconosciuta e risarcita per quanto possibile, ma se, superato l’istante in cui viene a mancarci il respiro, permettiamo che l’onda d’urto arrivi al cuore, è forse possibile pervenire ad un nuovo e diverso livello di comprensione. A distanza di cinque mesi dall’inizio delle proiezioni, ci rendiamo conto sempre più spesso che “La morte negata” offre occasione di riflettere su molte questioni che attualmente risultano essere di vitale importanza, in particolare sulla necessità di cambiare l’approccio alla gestione della propria salute. Mentre per buona parte della popolazione questa è diventata una delega totale alle istituzioni e ai loro “esperti”, che si accompagna ad una sottovalutazione del proprio diritto ad essere informati adeguatamente e a far valere le proprie ragioni, altri, a seguito di una presa di coscienza, hanno assunto una posizione reattiva di rifiuto totale delle istituzioni e figure sanitarie, con la pretesa di curarsi da sé senza fidarsi più di nessuno. Un’altra parte di persone nell’area del dissenso hanno preso la strada di fidarsi di figure professionali alternative, ma senza mettere in discussione il paradigma di eterodirezione della loro salute. Tale delega in ogni caso alimenta inevitabilmente le ambizioni e i ruoli di potere ormai così ampiamente diffusi in ogni comparto della nostra società, tanto da non risparmiare purtroppo nemmeno il cosiddetto fronte del dissenso, che dovrebbe invece costituire il nucleo fondante di una nuova realtà più umana, cosciente e partecipata.

Ma, più in generale, sarebbe il caso di soffermarsi anche sul significato e sui modi della cura; su cosa si intenda per “scienza” e sul ruolo che essa sta assumendo nella nostra società; sul significato che attribuiamo alla Morte e su quale riteniamo sia il suo collegamento con la Vita…

Occorre insomma, a partire degli eventi tristi di cui parla “La Morte Negata”, espandere la nostra riflessione includendo temi via via più ampi, utilizzare le nostre energie, anche spirituali, per investire nella “costruzione”, più che nella “distruzione”, per approdare ad una comprensione di più largo respiro, che dia spazio a quello che è il mistero della vita stessa e del suo rinnovarsi. Mistero che ogni morte, qualunque essa sia ed in qualunque modo avvenga, porta sempre con sé.

Comitato nazionale psicologi EDSU

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