Silenzio. Buio in sala e buio nelle coscienze.

Venerdì 27 ottobre, al Cinema Visionario di Udine, ha avuto luogo l’anteprima nazionale del documentario “La morte negata” di Alessandro Amori e prodotto da Playmastermovie. Il regista ha raccolto le testimonianze dei parenti delle vittime dello stato di emergenza covid da cui emerge la drammatica situazione in cui versa la sanità italiana, resa ostaggio da protocolli e linee guida che poco hanno a che fare con il sentimento di umana compassione che tutti i medici dovrebbero avere nei confronti di ogni paziente. Alla serata organizzata dall’associazione Costituzione in Azione erano presenti, oltre al regista, il musicista della colonna sonora Nicola Bottos, la testimonianza di una vittima, Mauro Masè, l’avvocato Luca Campanotto, lo psichiatra Marco Bertali e la psicologa Giusy Daina che ci ha rilasciato il suo racconto dell’evento.

“Silenzio. Buio in sala e buio nelle coscienze. Vite negate. Affetti strappati. Isolamento. Sensazione di soffocamento. Bisogno di negare. Nudità dell’anima. Sguardi fissi e sgranati. Lacrime che faticavano a scendere. Difficoltà a respirare. Bisogno di trattenere il fiato. Poi dolore e, finalmente, lacrime.

Il racconto ci conduce nella parte più oscura delle nostre anime, nelle profonde radici delle nostre paure. Mette letteralmente a nudo quanto di più temuto e contrario ci sia al naturale accompagnamento verso la morte e la sepoltura. Pone in luce la necessità umana ed affettiva di accompagnare con amore e dolore il fine vita.

Nonostante io avessi visto in anteprima il documentario, la condivisione in sala ha generato in me un profondo senso di tristezza ed angoscia nel ripercorrere anni tragici della nostra esistenza e, insieme, un bisogno sempre più grande di vicinanza verso un dolore intoccabile ed incomprensibile che, finalmente, trovava espressione ed accoglimento.

E se si è davvero stati molto distanti dal prendersi cura del corpo e della persona nella sua totalità, la condivisione delle storie ha permesso alle persone (ai familiari che raccontavano, a chi in sala aveva vissuto vicende simili e a tutti i presenti) di prendersi cura dell’anima, in un accompagnamento volto a recuperare e preservare, nella memoria, un ricordo della persona mancata nella sua interezza e non soltanto nella sua sofferenza.

È una visione dunque che si prende cura del dolore, del silenzio, del senso di colpa e di ingiustizia, del rimorso. Prendersi cura di sé non può essere disgiunto dal prendersi cura dell’altro nella sua totalità. Liberare le emozioni legate e cristallizzate in quegli eventi, dar loro la possibilità di esprimersi, esporsi, trovare forma e abbandonare il peso. In questo modo si è pronti a rinascere e a pretendere chiarezza con una forza che non sa solo di rabbia, ma di una consapevolezza condivisa e tenace.

È un documentario che ci aiuta a non spegnere i riflettori su questi anni di storia, che deve rimanere come documento storico per le famiglie e per chi educa le nuove generazioni, diversamente segnate da questi anni. È fondamentale poter lavorare verso il recupero e la ricerca di principi, valori e sentimenti come amore, comunanza e felicità, essi stessi negati, proibiti e alla fine dimenticati e la cui mancanza è purtroppo alla base del senso dilagante di individualismo, lontananza dal senso di comunione e bisogno cieco di andare avanti e dimenticare ad ogni costo.

Il prezzo sociale dei fatti raccontati nel docufilm dunque riguarda ciascuno di noi, che dobbiamo farci promotori di un nuovo indirizzo della storia. Dobbiamo raccontare e diffondere per non dimenticare. Ciascuno con la propria competenza e con i propri strumenti comunicativi. Ciascuno con il proprio linguaggio. Il modo in cui il film è stato girato e montato da Alessandro Amori, le musiche scelte da Nicola Bottos, la canzone scelta alla fine del film, i fatti raccontati, la parte recitata da Antonio Bilo Cannella, non sono il frutto solo di un lavoro di montaggio e adattamento, ma sono modi di raccontare il dolore e comunicarlo, dando una testimonianza secondo un proprio personale stile comunicativo e punto di vista.

È un documento storico dunque, che lascia certamente un segno e che, mi auguro, lasci una traccia non solo di ciò che è stato, ma di come non vorremmo mai più che fosse, affinché si possano ritrovare la fiducia e la certezza che un cambiamento è possibile.

Dott.ssa Giusy Daina, psicologa e psicoterapeuta.

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