Un muro di silenzio complice è calato sulle morti avvenute negli ultimi anni. Persone care sono state strappate all’affetto dei propri familiari per terminare le loro vite in solitudine, nella sofferenza, nell’indifferenza, senza una spiegazione, senza una degna conclusione.
È arrivato il tempo di spezzare questo muro e raccontare queste storie, nonostante il dolore che questo racconto susciterà in chi lo ha vissuto. Non si tratta però, non solo, di denunciare storie di “malasanità”. Si tratta di parlare del più grande dei tabù, quello che avvolge la morte nella nostra cultura, e che ha creato un connubio perverso coi cinici protocolli “sanitari” cresciuti nel clima di emergenza, generando uno scenario crudele che è stato calato su di noi come una grande rete da caccia.
E allora, parliamone.
Per la sua ineluttabilità e il mistero che l’avvolge, il momento del trapasso richiede l’attributo della sacralità. E così è stato, in tempi nemmeno troppo lontani, quando l’uscire di scena era unaprofonda questione esistenziale che dava un senso all’intera esistenza umana.
Ma poi è diventata una faccenda “sanitaria”, che richiedeva prendere il controllo dei corpi, per scongiurarne il deterioramento e la morte. I due vettori del mutamento, dell’energia trasformativa, che con moto circolare davano senso all’esistere, sono stati inceppati: negando la morte, si è negata anche la vita. Si è coltivata l’illusione di una vita senza sofferenza e tesa a scongiurarne la naturale conclusione.
Paradossalmente, è proprio l’approccio medicalizzante volto a prevenire il male, che ha causato e continua a causare immense sofferenze: del corpo ma anche dell’anima.
Tutto questo era già in essere 5 anni fa, quando ho accudito mia madre negli ultimi mesi della sua vita, lottando per custodirne la dignità anche nella malattia e nella morte. Riuscendoci, anche se a prezzo di enorme fatica e lotta durissima con un’istituzione sanitaria che cercava diappropriarsi del corpo di mia madre, e poi persino delle sue ceneri, per trasformarlo nel prodotto di un’operazione predatoria che generava profitti e potere.
Ma in quegli anni ancora era possibile lottare e opporsi: accompagnare i propri cari alle visite mediche, mediare nei percorsi di cura, supplire alle manchevolezze dell’istituzione, esercitare un controllo attento sulle scelte terapeutiche, strappare quella mezza giornata in più al capezzale di una persona ricoverata, vigilare sulla sua sicurezza, accudirla come nessun operatore pagato avrebbe mai potuto fare.
Era anche possibile onorare degnamente i nostri amati dopo la loro dipartita, accomiatandoci da loro con i giusti tempi e modi, ritrovandoci tutti nel ricordo, trovando conforto negli abbracci e nelle lacrime. E a volte, come nel caso di mia mamma, si era così immensamente fortunati da poter lasciare questa vita serenamente e dolcemente nel proprio letto, attorniati dall’amore delle persone care.
Non è stato così per schiere di esseri umani schiacciati dal sistema emergenziale di questi ultimi anni. Persone a cui sono stati strappati non solo i vivi ma anche i defunti: inghiottiti da un ingranaggio disumano che li ha condotti alla morte senza pietà e che senza pietà ha negato a chi è rimasto persino le esequie. Tutti, i vivi e i morti, sono stati trattati come minacce potenziali per la salute della popolazione, questa entità informe che pure era composta da persone a loro volta schiacciate dagli stessi ingranaggi.
Chi è rimasto vivo è tormentato dal rimpianto di non aver potuto proteggere i suoi cari, di non averli potuti salvare dalla stretta mortale di istituzioni totalitarie e blindate in se stesse. Logoratodalla rabbia di essere stato ignorato, disprezzato, messo da parte senza una spiegazione. Dalla confusione di non aver potuto nemmeno dire addio.
Mi sono imbattuta in queste tragedie condividendo l’azione del Comitato Nazionale Psicologi, che si è messo a disposizione di una popolazione ferita e inascoltata. La Morte Negata è stato il progetto per restituire voce e dignità ai vivi e ai morti; ed è poi, per una serie di circostanze magicamente sincroniche, germogliato nell’omonimo docufilm nato dall’incontro con il regista Alessandro Amori.
E allora, rompiamo questo muro di silenzio. Ripudiamo questa collusione con chi vuole gettarsi tutto alle spalle, senza rispetto per chi ha sofferto e per chi soffre ancora. I morti sono inquieti e aspettano di essere riconosciuti e, finalmente, onorati. Per ritrovare tutti, qui e altrove, la pace e la gioia.
Dott.ssa Antonella Sagone, psicologa perinatale – Comitato Nazionale Psicologi EDSU
Il documentario “La morte negata” è disponibile gratuitamente per proiezioni all’indirizzo email info@playmastermovie.com